Ecco l’intervista integrale a Jonathan Noyce, bassista dei Jethro Tull (dal 1995 al 2006) e grande professionista anche con altre formazioni (Archive, Three Friends) e professionisti (Martin Barre, Gary Moore).
Ringraziamo Leandro Pessina per aver trascritto la sua interessante intervista che ha realizzato per la Jethro Tull Italian Community (https://bit.ly/JTItalianCommunity) in esclusiva per la trasmissione Wond’ring Aloud – The Jethro Tull Radio Show (https://www.facebook.com/WondringAloudJethroTullRadioShow) condotta ogni mercoledì alle 19:00 da Daniele Massimi su Radio Tsunami.
Un’estratto dell’intervista (doppiata in voce) è stato inserito nella trasmissione #9 della prima stagione di Wond’ring Aloud – The Jethro Tull Radio Show interamente dedicata a Jonathan Noyce e andata in onda il 9.10.2020 ( QUI troverete TUTTE le trasmissioni in podcast).
Intervista aJonathan Noyce del 9 Novembre 2020 a cura di Leandro Pessina
J: Ciao Leandro!
L: Pronto! Buonasera Sir!
J: Come stai?
L: Sto bene, sto bene… e tu?
J: Tutto bene, tutto bene… Di dove sei?
L: di Milano, nel Nord Italia
J: Capito, molto bene
L: Sei mai stato qui?
J: Sì sì… Non so se lo sai, ma vengo spesso in Italia, dato che la mia partner è di Cesena
L: Davvero??
J: Sì… Passiamo abbastanza tempo da quelle parti
L: Non molto distante da qui… Credo sia circa un 2 ore di macchina dalla mia città
J: Lo scorso luglio mi è capitato di guidare per le strade di Milano, ahah… è stata un’esperienza interessante; girare in macchina dopo il periodo di lockdown in Italia
L: Nonostante la pandemia sei riuscito a venire qui comunque, sono molto felice per te
J: Sì assolutamente, sì sì… Abbiamo guidato proprio nel centro storico; non avevo intenzione di farlo, ma è stata una decisione del gruppo di persone con cui ero in viaggio ahah… ma comunque l’Italia ha un posto speciale nel mio cuore
L: Sono molto contento di ciò, grazie mille… Posso per caso chiamarti Jonathan? Finora ti ho sempre chiamato “Sir”, visto che non ho mai avuto la possibilità di incontrarti di persona… sono lieto di poterti incontrare e di poterti parlare anche solo in via digitale… sperando ci sia la possibilità di un incontro dal vivo, un giorno
J: Sono sicuro che ci sarà. Il piacere è mio Leandro, e per favore, chiamami Jonathan
L: Ok Jonathan, grazie mille. Non voglio rubarti più di 15 minuti; cercherò di fare del mio meglio per non tenerti troppo impegnato con questa intervista “noiosa”
J: Non ti preoccupare; è un piacere parlare con te. Non ti preoccupare del tempo
L: Va bene, grazie mille. Dunque… mi hai appena raccontato delle tue vacanze qui in Italia a luglio; la mia prima domanda è dedicata a come hai vissuto la pandemia, e cosa hai fatto/stai facendo durante le limitazioni conseguenti. Vivi in Inghilterra, giusto?
J: Sì, vivo a Londra. Guarda… direi che probabilmente, anche se le grandi metropoli hanno vissuto le maggiori costrizioni, tutti abbiamo avuto a che farci in qualche modo. Il cambiamento più ovvio nella mia vita è stato non avere concerti e non viaggiare, il che è una grossa novità per me… Quando passi molto tempo, negli anni, in tour… Sai, suono in giro ormai da 25 anni ahahah… Almeno è bello poter essere a casa. Sto usando il mio tempo per sistemare cose e situazioni qui, a casa, e nella mia vita, nella mia vita “musicale”. Per esempio, ho potuto completare e riorganizzare il mio studio di registrazione, a casa. Questo ha preso la maggior parte della mia attenzione e del mio tempo negli ultimi mesi. Mi sento molto bene a casa, nel mio studio. Ovviamente, mi mancano gli amici, e non posso vedere la mia famiglia regolarmente, anche se vorrei. Oltre a questo, ci sono momenti in cui penso al concetto stesso di “lockdown”, e a quanto questo possa essere intimidatorio da un punto di vista psicologico, specie se vivi in una città. Qui a Londra siamo in lockdown per la seconda volta…
L: Purtroppo anche qui, almeno nel Nord Italia
J: Sì… come vanno le cose là, Leandro?
L: Beh… Lavoro da casa, “smart working”, studio… Sono molto impegnato e ho molte cose all’attivo. Trovo che essere limitati così sia ovviamente noioso e fastidioso, a volte, ma può anche essere una cosa utile, se si riesce a individuare nel confinamento una sorta di opportunità per riorganizzare il proprio tempo e i propri impegni… Concordo pienamente con te quando dicevi del fattore psicologico e intimidatorio che un lockdown porta con sé
J: So che in Italia il primo lockdown è stato molto più duro rispetto a quello del Regno Unito, ed è durato anche di più. Penso che qui a Londra le cose siano state un po’ più facili rispetto all’Italia o alla Francia, per esempio. Comunque sì, ci sono delle opportunità, se riesci ad scoprirle oltre la barriera mentale… Ci sono delle cose che puoi fare, che rendono le cose un po’ più facili, che permettono di passare il tempo
L: Parlando di attività musicali attuali, prima del o durante il 2020, puoi dirmi qualcosa al riguardo? So che stavi lavorando per le colonne sonore di alcuni film, se non sbaglio
J: Sì, esatto. Lavoro con alcuni compositori, come Daniel Pemberton, e anche se ha iniziato da poco, è davvero un ragazzo talentuoso e un grande musicista. L’anno scorso abbiamo potuto lavorare insieme sulle musiche del film “Yesterday”, che è ovviamente una pellicola di grande rilievo per tutti noi, non solo perché come dato di fatto sia una linea guida per chiunque, anche se ho alcuni amici che non la pensano così, e lo ritengo abbastanza strano, ahah! Abbiamo lavorato proprio in Abbey Road per un paio di settimane, registrando là le tracce. È stata quasi un’esperienza surreale, brillante, e devo dire che ho apprezzato molto il film. Questa è stata una delle cose principali che abbiamo fatto l’anno scorso. Recentemente, abbiamo lavorato, proprio prima dell’inizio del lockdown, alle musiche di “The Trial of the Chicago 7”, un film ambientato negli Anni ’60 dedicato a degli attivisti di quella città, distribuito da Netflix. Quindi… Questa è una delle cose della mia vita che ho cominciato a fare da quando ho lasciato i Jethro Tull nel 2007. Ho deciso di concentrarmi su altre cose, e vivendo a Londra ho ricominciato a lavorare come session musician. Ho iniziato a lavorare così, all’inizio degli Anni ’90, e questo è ancora quello che ho continuato a fare. Oltre a questo, infatti, sono stato in Francia l’anno scorso, per suonare con Mylène Farmer, una cantante francese. Abbiamo avuto qualche show importante, l’anno scorso, e di conseguenza ho passato un paio di mesi là, lavorando a quei concerti, con un
gruppo di musicisti fantastici. Abbiamo fatto nove concerti all’Arena La Défense, vicino Parigi, ed è stata un’esperienza straordinaria, inusuale per me dato che non sono molto dentro il mondo della musica Pop, anche se Mylène riprende in parte i suoni di Madonna e Lady Gaga. È stata veramente un’esperienza interessante. Queste sono alcune delle cose principali in cui sono stato impegnato. Dal 2007, ho collaborato anche con la band “Archive”, un gruppo inglese
L: Mi pare di seguire la loro pagina Facebook
J: Ah bene! Dicevo appunto che ho lavorato anche con loro per un po’. Questo quindi è quanto ho fatto recentemente, grosso modo. Come dicevo prima, è dal lockdown che lavoro da casa, e ho fatto molte cose per me stesso, anche se ho realizzato anche alcune cose per altre persone, miei amici e altri artisti. Ho potuto registrare le tracce di basso da casa.
L: So che hai lavorato con Gary Moore – e magari mi sbaglio, ma sembra che tu sia più legato a questa esperienza che non a quella con i Jethro Tull
J: Sì
L: Lui è – o meglio, era – il mio chitarrista preferito, e il mio secondo musicista preferito di sempre
J: Ahahah! Sì… Gary era davvero un musicista straordinario. È interessante notare che, relativamente parlando, il periodo passato con Gary, comparato con quello speso con i Jethro Tull e altri, è stato molto più breve, ma assolutamente più interessante. Per me fu un’esperienza magnifica. Conobbi per la prima volta Gary nei primi Anni 2000. Il suo batterista Darrin Mooney, un mio vecchio amico… Eh… Beh, prima di tutto: noi ci conoscemmo ad un festival, in cui i Jethro Tull e Gary Moore erano nello stesso programma, in Germania. Forse era il 2001. Abbiamo cominciato a incontrarci più volte, abbastanza regolarmente, e, per concludere, sono finito a suonare insieme a lui. Era un chitarrista e musicista fantastico. Penso che lui sia il miglior musicista con cui ho avuto il piacere di suonare insieme. Per me, era un genio. Lui era un bambino prodigio. Già da adolescente era eccezionale. Rammento storie, raccontatemi da Ian Anderson e da Clive Bunker, in cui entrambi ricordavano la volta in cui incontrarono Gary, quando lui aveva solo 15 o 16 anni, a Belfast, quando i Jethro Tull suonarono lì, vicino al municipio. Gary era fuori la porta del palco, con la sua chitarra, con l’intenzione di impressionare tutti. Sia Ian sia Clive mi raccontarono questa storia, e la cosa divertente è che anche Gary la confermò poi. Lui era un grande ammiratore della band, era un grande fan di Martin Barre. Martin è un chitarrista davvero talentuoso. Ha un suo gusto personale che va ben oltre il blues, è unico, super sofisticato. Gary era molto consapevole di ciò. Tra l’altro, questo interesse di Gary per la musica dei Tull è uno dei motivi del perché lui volesse suonare con me. Lui stava rivisitando e riprendendo le sue radici irlandesi e celtiche. Cominciammo a lavorare insieme su di un progetto dedicato a questo. Era intenzionato a riprendere qualcosa di folk e integrarlo con quello che stava facendo allora
L: Lui però non ha avuto l’opportunità di pubblicare nulla inerente questo progetto, se non sbaglio. O meglio, è stato pubblicato il Live a Montreux, registrato nel 2010, dove tra l’altro tu eri il bassista; proprio ieri ho visto il tuo solo di basso su “Empty Rooms”. Durante quel concerto c’era una canzone, intitolata “Oh Wild One”, che era di fatti un brano con influenze celtiche/irlandesi, e durante quel concerto, Gary la presentò appunto come una nuova canzone, ma non ebbe mai l’opportunità di registrarla in studio, dico bene?
J: Esatto. Inoltre, c’era anche un altro brano: “Where are you now”, che mi pare suonammo proprio a Montreux. È un pezzo lento. Sfortunatamente, non abbiamo avuto opportunità per registrarle propriamente. Abbiamo fatto solo alcune demo, tra il 2005 e il 2006. Esistono quindi delle registrazioni. Abbiamo registrato tre canzoni: “Where are you now”… Qual è quella che hai menzionato poco fa?
L: “Oh Wild One” (nanana…), una ballata molto potente e rockeggiante
J: Sì, assolutamente. E… C’era una terza. Non ricordo il nome però. Comunque, tutte e tre, in qualche modo, sono sul live di Montreux. Registrammo tre brani seguendo l’idea di Gary di fare nuovamente celtic rock. Questo è il motivo del perché Darrin ed io fummo coinvolti. A quel tempo, la compagnia di registrazione non era molto interessata alla cosa, quindi mettemmo da parte quelle idee, passando a fare altre cose, come le registrazioni di “Old New Ballads Blues”. Darrin tornò poi a lavorare con la sua band ufficiale. Nel 2009, la compagnia di registrazione mostrò interesse per quel materiale, e quindi tornammo insieme su quel progetto. Nel 2010 suonammo a dei festival, finché nel 2011 cominciammo i lavori di registrazione dell’album. Eravamo finalmente pronti a registrare tutto, sotto contratto con la compagnia. Sfortunatamente e molto tristemente, Gary morì in maniera inaspettata dopo le prime registrazioni. Eravamo all’inizio di un nuovo progetto di cui Gary era davvero entusiasta. Neil Carter, che era tornato con Gary dopo tanti anni per unirsi al progetto in qualità di tastierista, ci rimase particolarmente male
L: Tu non puoi vedermi adesso, ma sto indossando una maglietta di Gary Moore, proprio ora
J: Ahahah! Buon gusto
L: Ahah grazie. Ritornando ai Jethro Tull, e adesso cominciano le domande difficili… Vorrei sapere come mai sei stato scelto. In quegli anni, tra il 1994 e il 1995, Ian Anderson stava lavorando ancora con Dave Pegg, ma anche con Steve Bailey. Come sei entrato nella band? Come mai?
J: Beh… Attraverso Martin Barre, lavorando con lui. A dire il vero, la connessione è iniziata qualche tempo prima. Originariamente, incontrai Dee Palmer – a quel tempo era ancora David Palmer – e… Ho studiato alla Royal Academy of Music, dove Dee insegnava. Capitò di avere alcuni show e registrazioni insieme con un’orchestra, dedicate a Sgt. Pepper’s Lonely Heart Club Band. Io ero ancora studente dell’Accademica, e ovviamente fui inserito nelle registrazioni in qualità di bassista. Incontrai per la prima volta Dee nel 1993, e suonammo insieme in alcuni concerti quell’anno, e anche nel 1994. Il suo batterista era un mio compagno, Marc Parnell. Marc suonò molto brevemente anche con i Jethro Tull, perché era al tempo batterista di Martin. La connessione dunque fu Dee Palmer, Marc Parnell e infine Martin Barre. Incontrai per la prima volta Martin nel 1995, e cominciammo a lavorare su “the Meeting”, il suo album solo. È stata davvero una registrazione divertente, ottima. A quel tempo, la band stava completando “Roots to Branches”, e Ian stava per rilasciare “Divinities”, il suo progetto solista. Mi unì a Ian per promuovere quest’album. Facemmo una sorta di microtour, che durò circa quattro settimane. Fu un’esperienza meravigliosa. Nella band, oltre a me, c’era Andy Giddings. Andy aiutò molto Ian a mettere insieme questo progetto. Dei Tull, eravamo Ian, Andy, Doane e me, più Chris Leslie, che divenne poi violinista dei Fairport Convention. Quello fu davvero un progetto fantastico. Conoscevo Martin, e in questo modo incontrai il resto della band, completando la mia conoscenza. Non molto più tardi di questo, Dave Pegg decise che era ormai giunto il tempo
di lasciare i Jethro Tull, e quindi di non partecipare alla promozione di “Roots to Branches”. Ian mi chiese di sostituirlo e ovviamente io risposi “Sì”. Ho iniziato a lavorare coi Jethro Tull nell’agosto del 1995. È successo tutto molto in fretta; Ho incontrato Martin Barre nel gennaio di quell’anno, ho registrato con lui alcune cose, poi ho conosciuto Ian a marzo… febbraio o marzo, per poi unirmi ai Jethro Tull in agosto.
L: Dunque quando le tracce di basso di “Roots to Branches” erano già state registrate, giusto?
J: Sì, lo erano. Credo che fossero ormai al termine quando cominciammo a lavorare per il tour di “Divinities”. C’era una discussione relativa a una mia possibile partecipazione su un paio di cose, ma alla fine se ne occupò Andy Giddings, e quindi non fui incluso
L: Per quanto riguarda le parti di basso… C’è per caso una traccia particolare, tra quelle che hai registrato, di cui sei fiero? Dalle sessioni di “Dot Com” o dal “Christmas Album”? Intendo quindi esclusivamente la musica dei Jethro Tull
J: Penso che “Dot Com” fu davvero una buona esperienza per me, dal punto di vista della sua registrazione. Sono molto contento delle cose che ho fatto. Noi stavamo realizzando cose… stavamo realizzando canzoni… Guarda, ti spiego: Ian veniva e metteva su delle demo, oppure suonava qualcosa con la chitarra, e noi iniziavamo a mettere e aggiungere il resto insieme, come band. Alcuni giorni dopo, eravamo già capaci di registrare delle versioni grezze di ciò su cui stavamo lavorando. Una volta che le cose erano state registrate, decidevamo cosa avremmo tenuto o meno. Più tardi, io ho riregistrato probabilmente la maggior parte delle parti di basso da solo, in studio. Eravamo solo io e Andy Giddings. Era una meravigliosa opportunità per capire cosa fosse la cosa giusta per me. Una volta fatte il primo paio di canzoni, Ian diceva la sua, ed era contento del risultato, quindi ho continuato a lavorare in questo modo. A distanza di anni, sono molto felice di come il basso sia stato registrato, perché avevo molto controllo di cosa stessi suonando, diciamo. Per quanto riguarda il “Christmas album”, ci sono delle belle cose lì sopra. Mi è piaciuto suonare “Pavane”, brano riarrangiato da Ian sulle note del brano del compositore francese Gabriel Fauré. Rimango comunque molto contento delle cose su “Dot Com”. Vorrei dire che il brano “Dot Com” in particolare è qualcosa che mi rende felice e orgoglioso, per come è stato realizzato
L: Adoro il tuo basso su quel brano, è spettacolare. Le tastiere e il basso sono la cosa migliore su quella canzone, a mio parere
J: Sì, è una traccia divertente. Ma sai, Ian era anche ben disposto a farmi fare le cose a modo mio
L: Posso chiederti come mai non sei stato il bassista sull’intero “Christmas album”, ma solo sulla metà delle tracce?
J: Non lo so! Penso che Ian volesse lavorare con Dave Pegg, che volesse lui lì sopra. Ian ha preferito anche suo figlio James alla batteria di alcune tracce. Immagino che la decisione fosse probabilmente dovuta alla convenienza del momento e anche per riuscire ad avere differenti dinamiche nelle incisioni
L: Ti credo, ahah! È veramente solo una mia supposizione personale, ma sembra quasi, in un certo modo, che lui – Ian – volesse già presentare i Jethro Tull come una sorta di band “divisa”. Non c’è neanche un singolo brano in cui la line-up ufficiale è presente nella sua interezza, dove ha suonato
insieme. Non so perché, ma è strano… Anche se forse è solo per convenienze musicali, come hai detto tu
J: Credo che sia così. La modalità con cui registrammo “Dot Com” fu molto differente, più tradizionale. Penso… Credo che lui fosse molto influenzato dal mercato discografico, all’epoca. Io sono rimasto nella band per undici/dodici anni, e abbiamo rilasciato solo due album di inediti. Abbiamo fatto “Dot Com” e poi il “Christmas Album”. Quello era un momento in cui la vendita di dischi… Diciamo che l’industria musicale e delle registrazioni stava cambiando molto. Non penso che Ian volesse affrontare un grosso rischio. Non penso che lui sia rimasto molto entusiasta dal registrare quelle cose. Penso che il “Christmas Album” sia stato probabilmente solo una registrazione “conveniente”, anche perché lui vedeva la cosa come una buona trovata commerciale, sostanzialmente. Ovviamente, il Natale ritorna ogni anno eh… Ahahah! Questo vuol dire che si può promuovere gratuitamente ogni volta. Il “Christmas Album” è stato realizzato molto velocemente. Abbiamo passato circa sei settimane a registrare “Dot Com”, mentre per le parti del “Christmas Album” abbiamo impiegato circa due/tre giorni
L: Beh… Oltre a “Dot Com” e al “Christmas Album”, hai mai avuto – o hai ancora – un brano preferito, una canzone preferita, che ti piaceva o che ti piace tuttora suonare? In concerto, in una live session… Non so, anche un vecchio pezzo come Sweet Dream, Bouree, Aqualung, Songs from the Wood…
J: Sì… Un sacco di pezzi. Budapest è una canzone che mi piace molto. C’è qualcosa nella natura di quella canzone… è quasi un brano epico, e funziona molte bene in live, sia in termini di sentimento del pezzo stesso, sia per come funziona dal vivo con chitarra, basso, batteria e tastiere. La suonavamo molto bene. Ogni volta che la suonavamo, era ogni volta leggermente diversa. My God era sempre interessante da suonare, perché… Quando ho sentito per la prima volta la musica dei Jethro Tull, quando ho iniziato a imparare i brani, nel 1995 (perché prima di allora li conoscevo, sapevo della loro esistenza, ma non avevo mai approfondito più di tanto, non ero familiare con la loro musica), fu una grande sorpresa. Ogni pezzo di musica che sentivo era una bella sorpresa. Ricordo di quando sentivo e trascrivevo My God, pensando solo a quanto potesse essere inusuale la chitarra all’inizio. La struttura stessa del brano era davvero interessante. Aveva davvero una trama molto lunga che Ian e la band realizzarono molto bene. My God era sempre divertente da presentare. Poi, a me piaceva molto Sweet Dream, come anche un po’ tutti i brani di quell’epoca. Quelle erano canzoni “da ballo”; molti brani del tempo presentavano arrangiamenti orchestrali interessanti. Direi che probabilmente Sweet Dream era qualcosa che apprezzavo molto suonare. Buon rock, sì
L: Posso chiedere la tua opinione riguardante i bassisti che ti hanno preceduto? Quindi Glenn Cornick, John Glascock, Dave Pegg… La tua opinione su di loro? E magari se mi sai indicare il tuo preferito tra questi…
J: Beh, direi…
L: Oddio, ho dimenticato Jeffrey Hammond Hammond! Scusa Jeff!
J: Ahahahah!!! Povero Jeffrey. Penso che… Ho preso molto da ognuno di loro. Essere in una band non è come essere in famiglia, ma essere nei Jethro Tull equivaleva ad essere in una famiglia disfunzionale. Sono stato fortunato a conoscere chiunque, con, ovviamente, l’eccezione di John
Glascock, morto tristemente tempo prima, nel 1979 o nel 1980… Era un bassista fantastico. Ma sai, credo che ognuno di loro fosse unico. Ognuno di loro ha avuto un grande carattere e una grande personalità, che gli ha permesso di fare cose differenti. Adoro Glenn, perché lui aveva uno modo meraviglioso ed estremamente confidenziale di suonare, ed era molto originale. Credo che Jeffrey fosse completamente autodidatta, perché suonava come qualcuno che… Beh… Diciamo che non era un musicista convenzionale, più o meno come Ian, la cui musica è colorata dalla sua passione e dalla sua conoscenza per l’arte. Ho riscontrato questo in molti altri musicisti, che avevano un background artistico, come David Bowie, lui è un buon esempio, o ancora Brian Eno. Di conseguenza, Jeffrey suonava con un set di colori e di texture differenti, con un risultato brillante. Era veramente un bravo strumentista. John Glascock era favoloso, e anche sapeva il fatto suo. Dave aveva un meraviglioso approccio più “melodico”, ma non mancava di sostegno. Tutti loro erano diversi. Direi che quello che mi incuriosisce di più è Jeffrey. Amo ciò che Jeffrey ha fatto con la band. Molto originale, forse perché il suo approccio non è stato solamente musicale in senso stretto, ma è stato derivato anche dall’arte e dalla pittura. Direi quindi che Jeffrey è stato quello a catturare di più la mia attenzione
L: Mh, buono… Ed eccoci con la domanda più difficile… Forse è anche un po’ imbarazzante, ma più che altro, lo è per me chiederlo. Come o perché hai lasciato i Jethro Tull nel 2007?
J: Ahah! Beh… Credo che il modo più semplice per dirlo sia che tutte le cose finiscono. Ho risposto a questa domanda proprio l’altra settimana
L: Ops, scusa…
J: Nonono, nessun problema. Sono felice tu l’abbia chiesto, perché quando la gente non capisce la situazione, si fa idee sbagliate. Mi riferisco a fan e a persone che parlano della band. Cosa è successo, dalla mia prospettiva, è che la cosa fosse giunta a un termine. Nessuno è stato licenziato, nessuno ha lasciato la band contro la propria volontà. C’è stato un momento, tra il 2006 e il 2008, in cui noi non sapevamo cosa stesse succedendo, e neanche Ian. Ian ebbe alcune date da solo, dei concerti orchestrali, e penso che lui non fosse più a suo agio a continuare le cose per come erano fatte con la band. I rapporti tra di noi, i sentimenti, mentre eravamo in tour, erano ormai cambiati. Non era più così divertente. Direi che gli ultimi 2/3 anni con noi avevano cominciato ad essere… Non più così fluidi come in passato. Penso che Ian fosse solo indeciso su cosa volesse fare. Non ci fu attività a nome Jethro Tull per un po’. Posso dire che nessuno, Martin, Doane, Andy, io o Ian stesso sapesse cosa sarebbe successo. Eravamo tutti dubbiosi, pieni di domande. Parlavo con Martin e anche lui aveva la stessa sensazione, e lo stesso con Doane. Chiedevo “sai che sta succedendo?” e mi rispondevano “no, non so cosa stia succedendo”. Poi, gradualmente, Martin tornò alla luce con Ian, e lo stesso fece anche Doane (James, il figlio di Ian, aveva deciso di concentrarsi su altre cose). È stato veramente solo questo. Nulla del tipo licenziamenti o imposizioni. Non è successo nulla di brutto o di negativo. È solo finita. Abbiamo avuto dei bei momenti. Penso che in alcuni momenti siamo stati davvero fantastici. La capacità di riuscire a stare così uniti per tutto il tempo che siamo durati è stata notevole. Abbiamo fatto grandi cose, penso. Spero di aver chiarito le cose, almeno dal mio punto di vista
L: Sì, assolutamente, ma ora ho un’altra domanda… Si dice che quando tu e Giddings avete lasciato i Jethro Tull, era come se fosse emerso dell’astio tra Andy e Ian Anderson. Ripeto, queste sono voci
che si dicono in giro… Diciamo che gira l’idea che, se vuoi fare una chiacchierata con Andy, è meglio evitare il discorso Anderson e Jethro Tull, se capisci cosa intendo. Nel 2008, tu hai partecipato, proprio qui in Italia, a una convention dedicata al 40esimo anniversario, e hai suonato nuovamente con Anderson. Forse te lo ricordi, è stato un evento di tutto rispetto, con molti ex membri come Glenn Cornick, Barriemore Barlow, tu, Mick Abrahams, lo stesso Anderson, accompagnati dai Beggar’s Farm. Com’è stato suonare con lui di nuovo, dopo il tuo distacco?
J: Sì, era normale! Era completamente normale, eheh
L: Ok, bene! Sono felice di ciò
J: Era tutto nella norma.
L: Nessuna tensione?
J: Nono, assolutamente! Non molto dopo… Ricordo che ci incontrammo poco per i 60 anni di Martin Barre, probabilmente nel 2007, ed era tutto ok. Ian ed io abbiamo contatti occasionali, e tutto va bene. Mi sono anche unito a due date del tour dei 40 anni nel Regno Unito, quindi ho suonato nuovamente alla band, unendomi per due show, quell’anno. Era solo un qualcosa un po’ più inusuale del solito. Era un po’ strano, suonare e fare quel concerto insieme a tutti loro, ma almeno potevo tornare poi nel mio letto personale, cosa per niente male, ma comunque tutto era molto bello. Direi, tornando alla tua domanda, che Andy abbia le sue “frustrazioni personali” in merito alla band. Se devo essere sincero, penso che lui fosse già pronto a chiudere la porta, tornando a quei giorni. C’erano delle tensioni con Ian. Lui era molto frustrato per come le cose si stessero evolvendo, penso… Ma lui era nella band da prima di me. È molto difficile fare quello che vuoi in una band, a meno che quella band non sia tua, sai. Anche Martin, come sai, era il membro più longevo… Una band insieme da così tanto tempo, che ha suonato insieme per così tanti anni (più di 50 anni quest’anno, e io ne ho 49… Una band in attività da prima che io nascessi…). È fantastico vedere che alcune band riescono a farcela e a continuare sempre insieme, ma è difficile, insolito. È un problema di ogni gruppo, alla fine
L: Hai citato Martin Barre… Come probabilmente sai, Martin sta portando in tour – o almeno, stava portando in tour prima della pandemia da covid-19 – con Clive Bunker e Dee Palmer, il suo personale tour per 50 anni dei Jethro Tull e di Aqualung. C’è la possibilità di vederti partecipare per quel tour? So che Martin sta lavorando molto bene con Alan Thomson, il suo attuale bassista, ma… chissà!
J: Dubito. In origine, era previsto che io fossi il bassista, in quel progetto, ma alla fine non si è concretizzato nulla. Direi che è difficile che lo farò, che Martin lo chiederà. Martin sta impostando il tutto molto bene, e penso che sia molto felice di quello che sta facendo, con la sua band. Sai, non voglio tornare indietro adesso; penso che la cosa più importante per me adesso sia di continuare per la mia strada. Ho avuto grandi momenti, ho avuto opportunità meravigliose per suonare e incontrare chiunque nei Jethro Tull, ho avuto grandi opportunità per lavorare e per conoscere persone meravigliose. Ora faccio altre cose, che penso di continuare per il resto della mia vita. Non penso che mi verrà chiesto di fare qualcosa relativo ai Jethro Tull, ma sono felice di continuare così la mia vita
L: A parte i Jethro Tull, Martin Barre… Ci sarà mai qualche possibilità di vederti suonare qui in Italia, in concerto, nel prossimo futuro?
J: Allora… Una volta che il covid ci avrà lasciati, ci saranno possibilità.
L: Non pensare al Covid; pensa in termini di opportunità e contatti con gruppi come i Beggar’s Farm o i Lincoln’s Quartet. So che loro hanno invitato in passato, più volte, molti ex membri come Clive Bunker, o lo stesso Martin Barre. Sarebbe adorabile vedere anche te
J: Beh, vedremo. Conosco i Beggar’s Farm, conosco Franco, ma non so… Diciamo che mi sento a mio agio evitando di fare cose relative ai Jethro Tull. Vengo in Italia a suonare con altre persone, e infatti ero in Italia lo scorso anno con gli Archive. Avrei dovuto suonare in Italia quest’anno con Josh Miff, un chitarrista americano. Ovviamente, tutto è stato posticipato a causa del covid. Si spera di riuscire a suonare con Josh in Italia il prossimo anno.
L: Proverò ad esserci!
J: Sì! Ti farò sapere. Doveva essere in origine a febbraio o marzo di quest’anno. Penso che sia improbabile che le nuove date possano ripresentarsi prima di allora, ma è una possibilità, con Josh. Questa è l’unica informazione che posso darti, eheheh!! Amo suonare in Italia, davvero
L: Se ti piace il folk metal proverò ad invitarti a suonare con me e le band di cui faccio parte, se vuoi
J: Folk metal? Davvero? Mi piace il metal, mi piace il folk…
L: è una combinazione dei due generi
52.07 J: Mi farebbe piacere vederti Leandro. Sei un chitarrista?
L: Sono un flautista
J: Davvero?!
L: Ma suono anche mandolino, bouzouki… Ho suonato anche il basso, dal 2009 al 2012 circa
J: Che è successo poi?
L: Oh beh, ho solo capito che non avevo abbastanza tempo per suonare anche il basso. È ancora qui con me, comunque. Qualche volta lo riprendo in mano e provo qualcosa. Comunque, studio alla Scuola Civica di Musica di Milano, quindi sono un flautista “classico”…E di conseguenza devo spendere più tempo possibile a studiare il mio strumento
J: Sì, buona idea, assolutamente. Sarei lieti di sentirti suonare, qualche volta
L: Oh beh, posso condividere qualcosa! Ho il tuo contatto Facebook, non è difficile
J: Sarebbe un piacere
L: Il piacere è mio, Jonathan. Mio Dio, siamo stati qui a parlare per quasi un’ora! È stata un’ora meravigliosa, ma molto di più dei 15 minuti iniziali…
J: Ma è un piacere chiacchierare con te, Leandro, e se hai altre domande non esitare a chiedere; mi puoi inviare un messaggio
L: L’ultima domanda: se hai per caso un modo personale per salutare e dire arrivederci alla Jethro Tull Italian Community, di cui faccio parte e per la quale sto “lavorando” tra molte virgolette, e RadioTsunami, la webradio che manderà in onda questa intervista
J: I saluti sono stati registrati in originale e trasmessi in radio!
54.13 L: Grazie Jonathan, grazie mille!
J: … Stammi bene Leandro, è stato un piacere sentirti
L: Grazie mille! Ci vediamo presto!
J: Ciao!