Una delle copertine di dischi più famose di tutti i tempi nella storia della musica, dopo Sgt. Pepper’s e The Dark Side of the Moon, è senza dubbio quella di Abbey Road dei Beatles. È anche quella più riprodotta, non solo perchè il luogo è ormai diventato un must per tutti quelli che vanno in Inghilterra, ma anche perchè, e lo posso dire per certo, anche noi di EXHIMUSIC ci siamo immortalati mentre abbiamo attraversato le strisce pedonali più famose al mondo. Abbey Road è stato l’ultimo album che i Beatles avevano registrato come band e fu pubblicato nel settembre del 1969, nove mesi prima di Let it Be. Il titolo originale del disco doveva essere Everest, riferito ad una particolare marca di sigarette fumate da Geoff Emerick, ingegenere del suono del gruppo, e sulla copertina sarebbe dovuta apparire la foto dell’Himalaya.
Iain MacMillan, il fotografo al quale era stata commissionato il lavoro, aveva incontrato Yoko Ono nel 1966 ad una sua mostra fotografica tenutasi alla Indica Gallery di Londra. Proprio in quella occasione Yoko aveva presentato a MacMillan John Lennon che gli chiese di realizzare il servizio fotografico per l’album. Il concetto da mostrare era molto semplice: una foto che rappresentasse i Beatles sul posto di lavoro agli Abbey Road Studio che si trovavano nel quartiere St. John Wood, a Londra.
In realtà, i Beatles camminavano nella direzione opposta degli Studios verso la vicina casa di Paul McCartney a Cavendish Avenue. Il servizio fotografico cominciò l’8 agosto del 1969 alle 11,30. Al fotografo furono concessi solo 10 minuti per poter fare le foto necessarie e lui fece esattamente 6 scatti dei Beatles che attraversavano la strada da sinistra a destra e viceversa, mentre lui era salito su una scala per essere leggermente più alto rispetto al livello stradale e dopo che un addetto al traffico locale aveva fermato le macchine in entrambe le direzioni.
Come era già accaduto per la copertina dell’album Sgt. Pepper’s, anche questa fu passata al setaccio dai fans per trovare e scoprire significati nascosti e particolari inquietanti essendo stata realizzata nel periodo di tempo dove si vociferava della presunta morte di Paul (il mito di Paul’s is dead), a cominciare dalla targa del maggiolino bianco parcheggiata sul marciapiede sinistra la cui targa mostrava la scritta LMW 28IF e che fu interpretata nell’ultima parte come “Paul avrebbe avuto 28 anni se non fosse morto”.
John, con il vestito bianco, rappresentava il sacerdote; Ringo, con il vestito nero, rappresentava quello delle pompe funebri; George che era in jeans, rappresentava il beccamorto. I tre portavano tutti le scarpe mentre Paul era a piedi nudi ed era stato sostituito da un sosia, un certo William Shears Campbell, che aveva vinto in precedenza una gara per la somiglianza a Paul stesso. Sulla questione della presunta morte di Paul cito le sue parole a riguardo pubblicate sulla rivista LIFE nel 1969: …Potete pensare che io sia morto e ovviamente ognuno è libero di giungere a tutte le conclusioni che vuole, ma io vi dico che è sbagliato, perchè io sono vivo e vegeto e abito in Scozia.
Tornando alla copertina, i Beatles, a parte George che indossava camicia e jeans, portavano dei vestiti fatti su misura da Tommy Nutter. Il maggiolino bianco parcheggiato sul marciapiede era di un residente della zona. La targa della macchina dopo l’uscita dell’album fu rubata così tante volte che, sconfortato, se ne liberò. Negli anni ’80 fu venduta ad un’asta per la somma di 2.530 sterline ed attualmente è in un museo di auto in Germania. L’uomo con la giacca marrone che è sul lato destro vicino alla macchina della polizia è Paul Cole, un turista americano, che mai avrebbe immaginato di essere immortalato in una delle copertine di un album musicale passato alla storia. Sul retro dell’album compare la foto della targa della strada “Abbey Road Street”, oggetto anch’esso che ogni fan del gruppo ha sognato di possedere disperatamente. Per concludere, notiamo che Abbey Road è l’unico disco dei Beatles che non ha sulla copertina ne il nome della band ne quello dell’album.
Giuseppe Bellobuono