Prima di parlare di “Parallel Lines” dei BLONDIE è meglio sfatare un paio di miti che si sono creati nel corso degli anni. Il primo, quello che la band non era il progetto solista di un’artista femminile con un nome d’arte ma quello di una vera e propria band. Il secondo, non meno importante, che non erano un gruppo da discoteca, ma una band new wave, rock, punk e a tratti sperimentale con tendenze sicuramente pop e che avevano iniziato a suonare al CBGB’s così come i Ramones e i Talking Heads.
Il disco del 1978, prodotto da Mike Chapman, era cronologicamente il terzo album nella discografia dei Blondie, con milioni di copie vendute in tutto il mondo e negli States, complici anche due singoli che hanno sbancato tutte le classifiche. La copertina bellissima vedeva il gruppo e la lead vocalist Deborah Harry mischiarsi con le linee parallele bianche e nere in modo perfetto ed è diventata un’immagine iconografica degli anni ’80.
La Harry con i suoi 33 anni all’epoca della produzione dell’album non era certo giovanissima. Il suo partner anche artistico era il chitarrista Chris Stein. Il duo aveva già suonato nel gruppo THE STILETTOS, nel 1973 e in altri gruppi prima di formare nel 1975 i BLONDIE con Clem Burke alla batteria e Jimmy Destri alle tastiere. Pubblicarono un disco omonimo nel Dicembre del 1976 ma ottennero il loro primo successo commerciale, quasi per sbaglio, in Australia nel 1977 e per la programmazione di un video del brano “In The Flesh”, descritta come un prototipo di “POWER BALLAD” che andò al numero uno.
Nel 1978 a febbraio, i Blondie realizzarono il loro secondo album: “Plastic Letters”. Con questo disco, prodotto sempre da Chapman, il gruppo fu orientato verso il pop anche se i richiami punk e new wave erano sempre presenti nelle canzoni. I Blondie furono costretti ad un ritmo serrato di sessioni di prove e sui tempi delle registrazioni e il risultato fu un equilibrio tra la chitarra di Stein (punk) e le melodie di Harry (pop) quasi perfetto e irresistibile.
A settembre dello stesso anno i BLONDIE registrano “PARALLEL LINES”. L’album si apre con “Hanging on the Telephone”, una cover scritta da Jack Lee per il gruppo dei NERVES. Il riff di chitarra è ben fatto e il suono del telefono della cabina telefonica passerà alla storia.
“One way or another”, scritto insieme al bassista Nigel Harrison (Talking Heads) che si era unito ai Blondie per la registrazione dell’album è caratterizzato da un riff di chitarra molto contagioso ed è un classico pezzo rock. Nel finale possiamo ascoltare il mix delle voci e il suono delle sirene per un brano che è entrato nella Top 40 direttamente.
Un altro goiellino sul primo lato è senza dubbio “Picture This”. I riff di chitarra tipicamente rock sono mescolati al resto dei suoni creando una grande atmosfera e il testo, molto profondo, cantato da Debbie lo rende un capolavoro. Nel brano successivo, “Fade Away and Radiate”, ascoltiamo il grande lavoro alle chitarre di STEIN con feedback e suoni molto sperimentali sulla voce pulita, quasi a contrasto, della cantante che rendono il pezzo molto scuro. Al contrario, “Pretty baby” è un pezzo più allegro e leggero. Poi è la volta di un brano dell’altro chitarrista, Frank Infante, “I Know But I Don’t Know” cantato insieme con la Harry. L’intro di organo quasi latina è fuorviante ma poi il drumming diventa tipicamente punk rock e Infante emerge con i suoi riff che sul finale diventano molto incisivi.
Il tempo di girare il disco per ascoltare il lato B e il grandissimo successo “Sunday Girl” che suona quasi come una cover di un brano anni ’60 ma che invece è una magistrale composizione di Stein con una grande melodia che non passa inosservata e che porta il brano in testa alle classifiche di tutto il mondo.
Dalle atmosfere anni ’60 si passa con un salto temporale al ritmo disco di “Heart of Glass” che nella versione demo era stata pensata molto diversa da Stein e Harry ma che il produttore ha virato verso quello che poi è diventato un vero e proprio brano da discoteca. Numero uno in classifica ma palesemente ruffiano nello sfruttare la scena dance ancora in auge in quel periodo (ma sono perdonati).
Gli altri brani che compongono il secondo lato dell’album, seppur surclassati dal grande successo commerciale dei due Hit Singles, li preferisco e sono: “11:59” incalzante, micidiale e contagiosa e “Will Anything Happen?” un grande pezzo pop punk con una chitarra dal riff vincente. Identico discorso vale per “I’m Gonna Love You Too”, un’altra cover di Buddy Holly che era stata scelta dalla Chrysalis Records (così come era successo per “Denis” che apriva l’album “Plastic Letters” e che era un pezzo del 1963 di Randy & The Rainbows) come singolo trainante per l’album ma che ovviamente non ottenne il successo e l’impatto sperato nelle U.S. Charts e che sembra essere più un brano in tipico Ramones Style. Chiude il disco “Just Go Away” composta dalla Harry e conferma ancora la grande classe della compositrice nel creare brani vincenti e che chiude nel migliore dei modi PARALLEL LINES.
Una piccola curiosità che non sarà certo sfuggita ai più attenti sta nel fatto che all’interno della inner sleeve del disco è stampato come testo anche il pezzo che da il titolo all’album ma che non è stato poi inserito nel disco stesso. Delle dodici tracce che compongono la track list ben sei sono stati rilasciati come singoli.
.. all I want is 20/20 vision a total portrait with no omission…
Giuseppe Bellobuono