Io so’ me – il nuovo cd di BandaJorona
da una Roma ferita, storie e musiche delle nuove periferie urbane
tra echi popolari, canzone d’autore e nuovi linguaggi
Vivere a Roma significa assorbire forme, colori e storie di una metropoli ancorata ad una tradizione che si rimpasta continuamente con un tessuto sociale fatto di multiculturalità e di linguaggi inconsueti: saper disporre di quei linguaggi e restituirli in forma canzone, senza indulgere a manierismi e a esercizi di stile, è operazione che, quando riesce, riempie di meraviglia. BandaJorona, capitanata dalla personalità di Bianca Giovannini, si è imbevuta per anni delle suggestioni che transitavano per la Capitale, integrando ad esse una sensibilità contemporanea asciugata all’incrocio di altri venti. Ad esempio, l’esperienza sudamericana di Bianca, che chiamano “Jorona” proprio in riferimento a “La Llorona” di Chavela Vargas. O anche la profonda conoscenza del mondo mitteleuropeo, dei Kabarett e del teatro musicale di Monaco di Baviera e di Berlino, e il suo portato di Klezmer e Yiddish Song installato magicamente nella cultura capitolina. Un folk totale, insomma, a cui qualsiasi tentativo di riduzione a fenomeno locale va inevitabilmente stretto e dove si canta in romano perché in romano si parla ma per lo stesso motivo si parla e canta in italiano e perfino in inglese.
Con il suo ultimo lavoro, Io so’ me, pubblicato da Squilibri editore, il gruppo romano ritorna sulle scene con non poche novità in un disco di una forza straordinaria. Innanzi tutto, balza agli occhi il passaggio dalla rivisitazione dei canti della tradizione alla canzone d’autore per dare voce a sentimenti ed eventi raccontati in prima persona, vissuti sulla propria pelle e tanto intensamente da poter diventare metafora di una condizione esistenziale più generale, abbastanza diffusa in una metropoli ferita come Roma o anche nelle periferie urbane del mondo dove il canto si leva quasi come un esorcismo rispetto alle brutture della vita o come una gioiosa reazione di fronte alla protervia di chi ci vorrebbe vinti e sopraffatti da quei problemi e da quelle brutture. Un grido vitale che si leva con forza accresciuta sul piano musicale dove ai classici strumenti della tradizione folk (fisarmoniche, contrabbassi e mandolini) si sono aggiunte sonorità elettroniche “stranianti”, che raccontano altre storie o le stesse storie da altri punti di vista, mentre nelle pieghe dei testi riaffiorano presenze costanti e mai rassicuranti, come quella di un maestro come Pier Paolo Pasolini, con la stessa caparbia intenzione di sempre: cantare di Roma e del mondo in questo nostro frastagliato presente.
11 splendide tracce che danno conto della situazione attuale del gruppo romano, capace di muoversi con sorprendente disinvoltura tra i suoni del mondo pur dando loro un’impronta inconfondibile, carica dell’eco e delle suggestioni di una storia secolare. Dalla title-track dell’album, un klezmer romanesco di grande impatto, al divertissement su base elettro-pop e assonanza da dance anni Ottanta de La Signora del Quinto Quarto, dall’atmosfera pasoliniana su base elettronica de Le scarpe nuove, con la voce campionata di Laura Betti in Cristo al mandrione, al singolare tango di La rosa sbagliata con le pennellate del sax di Daniele Sepe fino allo strabiliante saltarello de Er sorcio e ‘r gabbianello, è un susseguirsi di emozioni e musiche -nuove e antiche allo stesso tempo-, con collaborazioni di grande prestigio come quella con Mario Castelnuovo, che firma e duetta con la Jorona in Il poema dei visionari, o altre ancora vivissime nella memoria come quella con il compianto Piergiorgio Faraglia.
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