Agli occhi – e alle orecchie – di molti, un’etichetta come la Sarah Records risulterà forse poco attraente: gestita da Clare Wadd e Matt Haynes nel loro Garden Flat di Bristol, verso la fine degli anni ‘80, fu un’esperienza discografica nata nella fredda provincia inglese e, con qualche ambizione e zero compromessi, orientata su generi decisamente poco hype trent’anni fa.
Figuriamoci adesso. Nel loro mondo, niente droghe fotoniche, risse selvagge, party pazzi o scandali à la Creation, per dire. Insomma nel 2018, nel pieno dell’era di condivisione istantanea di massa, dove tutti aspirano ai propri 15 secondi di celebrità, tags e likes, l’epopea di un’etichetta misconosciuta che realizzava dischi e fanzine fatte a mano solo per il semplice gusto di farlo, potrebbe sembrare anacronistica ed incomprensibilmente fine a se stessa – questo almeno all’ascoltatore medio più giovane, che nel 1987 era ancora distante dall’essere concepito.
E allora perché mai farne un tributo oggi?
Una dichiarazione d’intenti, se non addirittura una dichiarazione d’amore.
Perché non c’è stata label più fiera della propria libertà e delle proprie idee, in grado di riunire attitudine diversamente pop ad attivismo DIY di stampo punk, critico ed agguerrito. L’unico posto dove il romanticismo incondizionato di una canzone poteva accompagnarsi a un manifesto politico femminista o anticapitalista, era solo tra le braccia della Sarah.
In tempi duri, narrava Confucio, quando una grande azione verso l’esterno non è possibile, non rimane altro che raffinare in piccolo il proprio carattere: si possono fare lavori preparatori, agendo per mezzo di piccole cose, buone parole, una ferma decisione interiore ed un mite adattamento esteriore. La nobiltà d’animo, la coerenza e la perseveranza che per otto anni hanno alimentato le battaglie sonore della Sarah Records, sono per noi i presupposti a cui ritornare in questo lasso spazio-temporale che fa dell’omologazione e della pochezza di contenuti il suo traguardo. Ed in fondo è stato ascoltando i loro dischi e leggendo le loro fanzine che abbiamo imparato a coltivare la sensibilità, il dialogo, la differenza e il bisogno di proteggere il costante interscambio di idee tra comunità umane e musicali sul quale si fonda tutta la nostra esistenza.
Proprio quella sorta di segno segreto che ci accomuna e che speriamo possa ri-scoprire chiunque ascolti questa breve selezione.
1. Ladroga – C is the Heavenly option (Heavenly cover) 03:31
2. Black Tail – Sunflower (Springfields cover)
3. Dull Company Myself – Holy Head (The Wake cover)
4. Tirrenian feat. le Tute – Pristine Christine (Sea Urchins cover) 02:03
5. Real Beauties – I’m in love with a girl who doesn’t know I exist (Another Sunny Day cover)
6. Valentina & the Chilly Willies – Emma’s house (Field Mice cover)
7. True Sleeper – Bittersweet kiss (Gentle Despite cover)
8. Salah El Din – Gunnersbury Park (The Hit Parade cover)
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