E’ solo colpa mia se mi ritrovo a scrivere la mia biografia.
Perché? Dopo svariate settimane in cui il mio manager, l’ufficio stampa e i responsabili del web mi giravano attorno, chiedendomi info dettagliate sulla mia attività di musicista per redigere la mia biografia e, per tutta risposta, io, senza malizia, davo notizie frammentarie e confuse quando me le ricordavo, facendoli, ovviamente, diventare matti a starmi dietro, è arrivato un giorno che in coro mi hanno detto: fattela da te!
Mi piacerebbe iniziare dicendo…. Fin da bambino, all’età di 5 anni, il mondo aveva capito che la mia vita sarebbe stata la musica da come armonizzavo con il campanello della mia biciclettina tipo triciclo. Ma non è vero. E allora come inizio? Dicendo tutta la verità e nient’altro che la verità.
Nasco nel 1967, mi ritrovo un pianoforte in casa con cui mio padre rigorosamente ad orecchio, spaziava da brani di Duke Ellington a Lucio Dalla, e poi c’era mio zio Ettore che ogni qualvolta veniva a trovarci, faceva sempre lo stesso giro di Rock’n’Roll ed io… rimanevo incantato a guardarlo.
Per certi versi anche io, come artisti del calibro di Al Green o James Brown che da piccolini adoravano e cantavano gospel, all’età di 11 anni entrai a far parte Coro Puerorum della Cappella Sistina, dove parallelamente (per 4 anni) studio musica, prendendo lezioni di canto e pianoforte, ma tutte le volte, proprio tutte, che mi mettevo a fare gli esercizi avevo in testa solo le mani di mio zio che maltrattavano quei tasti bianchi e neri.
Mordevo il freno e la mia endemica curiosità mista all’irrequietezza di un quindicenne, mi allontanarono dall’accogliente colonnato del Bernini a San Pietro e mi proiettarono in quella che quei tempi ara chiamata “l’altra musica”. Finita l’esperienza del coro cominciai ad ascoltare Neil Young, James Taylor, Rolling Stones. Fu subito chiaro che alla musica di chiesa preferivo quella “del diavolo”.
Appena l’età me lo permise, presi la patente. Dopo pochi giorni di scorribande per le vie di Roma, feci un significativo e spettacolare incidente con la mia auto dal ritorno del concerto dei Sound Garden che quella sera si erano esibiti al Wonna Club. Dopo qualche mese arrivò l’assegno di rimborso dell’assicurazione, ma invece di riparare la macchina, non ci pensai un attimo e mi comprai una magnifica chitarra acustica Gibson. Ero un uomo felice.
La mia vita cambiò all’improvviso una mattina. Avevo una radiosveglia sul comodino che un giorno suonò “Good Morning Mr Blues” di Otis Spann; fui folgorato da quel brano e, da quel momento, capii che avevo trovato definitivamente il genere che istintivamente più mi sarebbe appartenuto da li e per sempre.
Cominciai a prendere lezioni di chitarra blues da un paziente, almeno credevo, Tonino Montella che, dopo una decina di incontri, mi abbandonò in quanto facevo sempre e solo di testa mia. Problema con cui ho sempre felicemente convissuto. Ho proseguito il mio percorso formativo da autodidatta. Tradotto: passavo ore ed ore a suonare, ascoltare dischi e a ripetere all’infinito quello che mi affascinava, finché non ero soddisfatto.
Ben presto arrivò il momento in cui decisi di formare il mio primo gruppo The Beermen; non mi ricordo più quanti pomeriggi, i miei compagni di avventura ed io abbiamo passato, blindati in una saletta a Trastevere, provando canzoni e suonando a volumi assurdi… temprando orecchie e cuore.
Puntuale come un’eclisse arrivò il momento di salire, per la prima volta, su un palco; avvenne nel tempio del blues romano il Big Mama, locale dove spesso andavo ad ascoltare personaggi storici del blues internazionale. Fu una delle più orribili esperienze della mia vita, ero pietrificato dall’emozione, ricordo che tra un brano e l’altro riuscivo a malapena, balbettando, a ringraziare il pubblico. Però suonammo bene per essere degli esordienti.
Avevo rotto il ghiaccio e, ben presto, grazie ad un po’ di esperienza in più e dosi massicce di aiutini alcolici, misi da parte la timidezza e cominciai a suonare ovunque; ben presto mi ritrova sui palchi dei più prestigiosi locali italiani, prima con un quartetto, i BelzeBlues (per circa 5/6 anni proponendo un repertorio più vicino al rock), poi con il mio trio riscuotendo un discreto successo e vincendo anche qualche premio (ad esempio “Premio della Critica Vicenza Blues Festival”).
In quel periodo vivevo la musica ogni giorno come se non ci fosse un domani e sentii il bisogno di cambiare aria. E che decisi di fare? Andare a “rubare a casa di ladri”: partii per Chicago senza conoscere nessuno e, dopo qualche giorno, mi ritrovai a suonare al Legend e al Rosa’s, insieme a musicisti neri, quelli veri che… apprezzando la mia incoscienza, non mi lasciavano scendere dal palco. Fu allora che capii, finalmente, che “tutto quello” sarebbe potuto essere il mio fottuto lavoro.
Oltre bluesman mi scopro viaggiatore. Incominciai ad andare dove mi portava la musica. Decisi di partire ed andare nel paese a più alto tasso di felicità: la Costa Rica. Nella “Svizzera del Centro America” ritrovai il mio tempo, il mio respiro ed un mondo che mi sembro appartenere. Anche li suonai tanto ed ovunque.
Tornato in Italia decisi che oltre a suonarla la musica la dovevo fare. Misi su uno studio di registrazione (il Monkeystudio) ed incominciai a realizzare e produrre vari progetti, tutti aventi sempre e comunque a che fare con la musica afroamericana. Per anni scrivere una canzone, stare su un palco, al di la o al di qua di un vetro di uno studio, mi faceva star bene.
La musica, come la vita, è fatta d’incontri; l’importante è stare al posto giusto, nel momento giusto. Ho avuto fortuna. Ho conosciuto Junior Marvin (chitarrista degli Wailers) con il quale ho registrato e prodotto nel mio studio una cover di Bob Marley; ho suonato con Steve Potts (gli è bastato poco per capire che io suonavo ad orecchio e che le partiture che mi aveva dato facevo solo finta di leggerle) che, comunque, apprezzò il mio istinto di musicista autoctono. Per me fu un sogno.
Tramite Badarà Seck (cantante del Senegal) mi immergo nei suoni viscerali della musica Africana. Nasce una stretta collaborazione che ci porta a suonare in tutta Italia ed in Africa e fu quasi una naturale conseguenza la mia decisione di produrre un disco e registrare con Badarà un nuovo progetto.
Nel frattempo la mia chitarra finisce su vari cd e mi fa piacere ricordare quelli con i Gaben, con Kenny Karpenter e con Wendy Lewis. Non mi sono privato di nulla e ho scritto alcune colonne sonore per la Fandango (come “Maschera di scimmia”), ho sonorizzato vari reading e per il produttore Lucisano ho scritto un tema del film “Confusi e felici” per la regia di Massimiliano Bruno.
Nel 2010 ho suonato con Elio E Le Storie Tese al GranTeatro per una serata in favore di Haiti (collaborando con il mitico Maestro Beppe Vessicchio).
Mi sono cimentato anche nella Direzione Artistica di alcuni locali come Dune (Roma), Red (Ustica) e di importanti Festival come il “Roma Blues Festival” e il “Women in Soul”.
Ho partecipato, mio malgrado (e non è snobismo) a numerose trasmissioni televisive per promuovere la mia voglia di fare musica, sempre e comunque affrontando ruoli diversi e sempre facendo ciò che meglio mi riesce e più mi appassiona.
E siamo arrivati ad oggi. Dovevo compiere 50 anni per decidermi a realizzare quello che ho sempre rimandato (non chiedetemi perché): il mio primo album. Convinto da un meraviglioso quartetto di musicisti con i quali sognavo di suonare da una vita ho raccolto le migliori canzoni che ho scritto in questi ultimi tempi e le ho registrate. Il primo singolo che precede l’uscita dell’album si intitola “Non c’è più via di scampo” (il testo l’ho condiviso con lo scrittore Bruno Ballardini) ed è la prima parte di me che vi faccio ascoltare in attesa della pubblicazione del progetto completo che sarà distribuito dell’Egea Music.
Questa è la mia Bio. Ma non finisce qui. A presto
Stefano Malatesta