Who’s Next del gruppo The WHO è uno degli album più importanti della storia della musica rock. Pubblicato nel 1971, contiene tutti gli elementi che un fan del rock classico possa desiderare ascoltare in un album.
Dentro ci troviamo un pò di tutto: riffs leggendari di chitarra, ballate al pianoforte dalla melodia immortale, innovazione tecnologica, virtuosismi, potenza pura, brani che sono diventati inni generazionali e un equilibrio perfetto tra atmosfere acustiche ed elettriche e per ultimo ma fondamentale un equilibrio tra il suono analogico e quello elettronico che incominciava a prendere piede in quegli anni. Risultato finale un album selvaggio, ironico e divertente con un picco assoluto nell’ultima traccia: “Won’t Get Fooled Again”. Il synth interminabile all’inizio che culla l’ascoltatore e che gli fa credere che il disco è finito è solo per qualche istante. Arriva Keith Moon che con il suo modo inconfondibile modo di pestare la batteria reintroduce il brano e dopo l’urlo liberatorio di Roger Daltrey la canzone travolge tutto e tutti.
La frase del testo: “…Meet the new boss, same as the old boss…” è la chiave di volta del disco.
Senza dubbio uno degli album fondamentali usciti nel 1971, forse il più autentico ed energico, che vede alla produzione il buon Glyn Johns e gli Who e che fu registrato agli Olympic Studios di Londra e al Record Plant di New York.
L’idea alla base dell’album doveva essere quella di un concept di Pete Townshend e nacque come il seguito di TOMMY, uscito nel 1969, l’opera rock degli WHO, e doveva chiamarsi LIFEHOUSE. Ma il resto della band considerò questo progetto molto futuristico e lontano da quello che avevano in mente a tal punto che ci furono molti attriti tra di loro e Townshend stesso, tanto da portarlo sull’orlo del suicidio.
Dopo la registrazione di alcuni brani di Lifehouse a New York gli WHO tornarono a Londra per completare il lavoro con Glyn Johns che conservò alcuni elementi esistenti come l’uso massiccio dei sintetizzatori di Pete Townshend.
L’album si apre con “Baba O’ Riley”, un nome che ricordava un loro amico e un guru, con un suono stranissimo per l’epoca che introduceva il pezzo. Si trattava di un organo collegato attraverso un sintetizzatore VCS3, suonato da Townshend che aveva cominciato a maneggiare questi aggeggi elettronici e che veniva interrotto dal riff, tanto semplice quanto geniale, che domina la canzone e che tutti noi amiamo. Nel pezzo c’è anche un solo di violino ad opera di Dave Arbus molto trascinante.
Tutte le canzoni dell’album sono scritte da Pete Townshend ad eccezione di “My Wife”, scritta e cantata dal bassista John Entwistle. Un pezzo molto ironico caratterizzato dal tipico drumming di Keith Moon molto frenetico.
Un’altra caratteristica principale degli Who era quella di utilizzare Daltrey e Townshend nelle parti vocali all’interno di un singolo brano. Un uso geniale che trasforma l’umore e lo spessore dei brani come accade in “The Song is Over”.
Il resto dell’album contiene anche brani molto pop-oriented: “Bargain”, ad esempio è costruita su un piacevole riff acustico e su un motivo di chitarra e synth. “Going Mobile” del periodo Woodstock-era viaggia tra vibrazioni country e un solo di synth. “Love Ain’t for Keeping”, contiene belle armonie e le due ballate: “Getting In Tune” e “Behind Blue Eyes”, oltre alla bellezza oggettiva della composizione, regalano la giusta drammaticità al feeling dell’album.
Tutto questo per arrivare agli 8 minuti e mezzo di “Won’t Get Fooled Again”, che dopo un inizio che può sembrare goffo, diventa l’inno generazionale e che anni dopo (vedi nel 1977 in piena era punk) riporta il rock alle sue radici.
In definitiva quello che era nato come un piano B, dopo l’enorme successo di vendite di TOMMY altro non è stato che un album leggendario e che ha fatto stare tranquilli gli Who per molti anni dopo la sua uscita sia in termini di vendite che di riconoscimenti. Tanto che Who’s Next, dopo oltre 40 anni dalla sua uscita, resta un punto di riferimento per una moltitudine di rock bands e di ragazzi che si avvicinano alla musica e lo sarà ancora per altri 40 anni a partire da oggi.
Giuseppe Bellobuono