Se avessi avuto un penny per ogni copia venduta di THE DARK SIDE OF THE MOON…
Nel 1973 veniva pubblicato il disco che probabilmente ha superato tutti i record di vendita e di ristampe successive fino ad oggi in tutta la musica rock.Oltre 45 milioni di copie vendute e 741 settimane di permanenza in classifica fino al 1983, dopo 10 anni dall’uscita del disco. I Pink Floyd furono consacrati universalmente e sono entrati di diritto nella leggenda e nella storia. È anche vero che alla storia ci sono passati anche quelli che hanno realizzato la copertina dell’album: lo studio Hipgnosis, Storm Thorgerson, Aubrey Powell e George Hardie.
Hipgnosis è stato uno studio fotografico e di design specializzato nella creazione di copertine per album musicali (ne parleremo in dettaglio in un prossimo articolo). Nel 1968 a Thorgerson e Powell fu chiesto, dai loro amici Pink Floyd, se potevano essere interessati alla creazione della copertina per il loro secondo album, A Saucerful of Secrets. Accettarono e pur non avendo per nulla esperienza riuscirono a realizzare un piccolo capolavoro. Quando iniziarono, Powell e Thorgerson presero il proprio nome da un graffito che avevano trovato sulla porta del loro appartamento. La parola piacque loro non soltanto per l’affinità sonora con “ipnosi”, ma anche per la combinazione di due termini contradditori, “hip” (nuovo e trendy), e “gnosis” (termine relativo ad una antica forma di consapevolezza). La storia di HIPGNOSIS è andata di pari passo con la carriera dei Pink Floyd anno dopo anno.
Realizzare una copertina di un gruppo sulla quale non appare ne il titolo dell’album ne il nome del gruppo ha creato un leggero scompiglio alla casa discografica EMI ma (erano abituati, ricordate la foto con la mucca sull’album Atom Hearth Mother?) con il senno di poi… possiamo dire senza dubbio che avendo accettato senza potersi opporre ( Storm e George erano amici dei Pink Floyd, come dicevamo prima, e le loro copertine sono sempre state presentate senza nessuna influenza o consiglio esterno all’etichetta) hanno fatto benissimo a lasciare le cose come stavano. Il concetto della luce che attraversa il prisma sembrava fatto apposta per la musica e la filosofia dei Pink Floyd: sound and light.
Il design della copertina fu preso da una illustrazione di un libro scientifico che si trovava nello studio Hipgnosis. Il prisma originale aveva lo sfondo bianco. Questo fu cambiato in nero perchè creava un contrasto maggiore e il raggio di luce che il prisma emetteva era formato da sette colori: rosso, arancio, giallo, verde, blu, indaco e viola. Hipgnosis pensò bene ad eliminare l’indaco essendo molto simile al viola e quindi dal prisma uscivano sei colori diversi. L’album era gatefold (apribile) e le bande di colori continuavano sulle altre facciate della copertina fino a diventare un battito di cuore che pulsava e che faceva da eco al suono del battito del cuore che si può ascoltare all’inizio della prima traccia dell’album.
All’interno del packaging vi erano anche due poster giganti: uno rappresentava i Pink Floyd dal vivo durante un concerto e l’altro era una fotografia delle Piramadi di Giza scattata in infra-red da Storm e Powell di notte aspettando la luce giusta. La forma triangolare delle piramidi richiama il prisma della copertina e la copia americana dell’album aveva il poster di colore verde, mentre in quella inglese il poster era di colore blu. Per completare il tutto vi erano anche due adesivi illustrati da George Hardie.
L’artwork originale fu costruito meccanicamente nello studio HIPGNOSIS da George. Tecnicamente parlando, questo significava che il prisma era stato realizzato in bianco e nero ed era stato dipinto di nero con la tecnica airbrushed. Lo spettro colorato invece da singole tracce diverse sovrapposte. Lo sfondo nero della copertina fu prodotto stampando un solido nero con l’aggiunta del 50% di ciano per dargli una maggiore densità.
L’album poi è stato rimasterizzato e ristampato diverse volte con una variazione al design, come ad esempio, per la versione del 20th anniversario (1993). La copertina fu realizzata con una foto scattata da Tony May che dal vivo aveva fotografato un raggio di luce bianca che attraversava un prisma di vetro. Lo spettro dei sette colori in questo caso era chiaramente visibile se sullo sfondo c’era un foglio di carta.
Giuseppe Bellobuono