Nel 1989, con “Disintegration”, Robert Smith traduce in versi il suo Romanticismo. Ci sono tastiere sognanti e magnifiche, c’è la pioggia, c’è il senso di apocalisse, c’è il presentimento di morte, c’è un amore che non sappiamo se inizia o finisce. Non è un concept album, e, come disse lo stesso Smith : “Disintegration” era un buon titolo come “Pornography”. Non ci sono sogni in questo album, lo spirito si risveglia alla realtà. Per Robert Smith il tempo non è più scandito dai 17 secondi che misurano la durata di una vita: “……non credo che la nostra musica sia così deprimente: questo disco si colloca ad un livello spirituale molto più alto degli altri. Molte canzoni di questo album riguardano quello che accade con l’età e il tempo che passa. L’incapacità di sentire con la stessa intensità di quando si è giovani.
La parola più giusta per definire “Disintegration” è “frustrazione” : “la cosa che mi preoccupa di più è che col tempo si rischi di diventare meno sensibili”.
Descrivere questo disco è un po’ come descrivere un universo di stati mentali distinti e allo stesso tempo fusi l’uno con l’altro. Fu il secondo disco dei Cure che comprai, quando ormai l’onda dark aveva già da tempo perso la sua forza iniziale. Il rossetto sbavato, gli occhi con la matita nera, i capelli cotonati, i vestiti neri, tutto era ormai diventato una moda, e i Cure, e Robert Smith in particolare, erano visti più come icone pop e di costume da imitare “perché faceva tendenza” che altro.
Il messaggio di Smith era diverso: dolore universale, angoscia e quel male di vivere che ci attanaglia e che segna la vita di tutti, risultando però parte integrante e necessaria di essa. Fu anche travisato e dopo aver superato problemi personali, crisi depressive e di gruppo (descritte in album come “Faith”, “Seventeen Seconds” e soprattutto “Pornography”), decise di cambiare corso e di puntare su produzioni più pop e “spensierate” (almeno in apparenza). Ma ecco che esce “Disintegration”, il capolavoro dei Cure e album sicuramente di grandissimo valore a livello musicale. Il disco è la sintesi perfetta dell’etica dei Cure, descrive la disintegrazione dell’animo di fronte a sentimenti troppo forti e incontrollabili quali la solitudine, la paura, la nostalgia, le angosce anche infantili e il binomio amore-morte, espressi alla grande in un brano come “Lovesong”.
Ma andiamo con ordine!
Apre le danze l’onirica “Plainsong”, eterea e al tempo stesso vagamente ricollegabile ai sentimenti che si provano ascoltando “Cold” (“Pornography”). E’ un viaggio evocativo e straniante dove Smith ci culla con la sua voce lontana che sussurra parole di abbandono e solitudine.
Poi è la volta di “Pictures Of You”: l’argomento in essa trattato è universale, pop. Come pop del resto è pure la struttura della canzone, a volte solare, a volte nera, una foresta fitta attraversata dalla luce solo a tratti. Un amore perduto, rimasto solo nei ricordi che si materializzano come foto, calde lacrime che scivolano ogni volta che si ripensa a una storia finita. La fotografia inchioda la fissità dello “è stato” e dunque porta in sé morte come diceva “Barthes”. Le fotografie in “Pictures of You” sono viste come strumento che catturano l’essenza di un tempo anteriore e la riportano al presente, creando contrasti di emozioni. Infatti secondo Robert Smith l’essenza di questo disco è il disgusto verso la perdita di capacità di sentire intensamente quando s’invecchia. E’ questa la “disintegrazione”! La foto del singolo è una foto di Mary Poole, la stessa che era stata utilzzata, in versione sfocata e irriconoscibile, sulla copertina del singolo di “Charlotte Sometimes”.
“Closedown” è il momento massimo di sintesi espressiva del disco. Nel testo della canzone Robert Smith esprime il suo pensiero riguardo al tempo: “if only i could feel my heart with love….”
Ed eccola “Lovesong”!? Capolavoro assoluto! Dal testo l’amore si lega alla morte, divenendo nihilismo e annientamento del proprio io in funzione di un’altra persona. Servilismo, assoggettamento, o semplicemente ricerca di quel bene/male che ti fa stare in pace con te stesso. E per quanto la persona amata ti tratti male, si allontani e ti spinga a dire cose che non pensi, tu la amerai per sempre. Disintegrazione di se stessi.
Il freddo e la solitudine sono i temi sulla quale si impernia anche la successiva “Last Dance”, anch’essa dominata dalle eteree e allo stesso tempo plumbee tastiere (presenza costante in tutto il disco).
“Lullaby” poi apre dinanzi ai nostri occhi il mondo dell’infanzia e dei sogni popolati da incubi. Ci sentiamo imprigionati da un lugubre ragno gigante con le zampe a strisce (come il pigiama che indossa Robert Smith nel video e che un vero dark come ad esempio Peter Murphy non avrebbe mai indossato) sempre affamato e pronto a nutrirsi delle nostre paure. Il video è memorabile e la canzone è creata su ritmiche ipnotiche e inquietanti, “Lullaby” è un capolavoro di istrionismo artistico della band, con Smith che sussurrando le parole ad ogni strofa come per ricordarci di quanto siamo tutti in fondo piccoli e impauriti.
“Fascination Street” è alcool e droga come ha detto in quel periodo Robert Smith ai giornalisti : la sensazione di uno stordimento da “nightlife” che anticipa la necessità di abbandonare il lato festaiolo che lo aveva visto protagonista insieme alla sua band.
“Prayers For Rain”: il buio e le tenebre sono già ampiamente calate, e il ritorno alla dark wave dei primi Cure è completo. Claustrofobica e e pesante come poche, la traccia si muove lentamente insinuandosi nel nostro corpo e avvolgendo il nostro cuore come una massa oscura che non ci molla più. L’annientamento dell’io è quasi totale, e non può che culminare nella disintegrazione.
In “The same deep water as you” c’è ancora la pioggia e tornano i riferimenti alle foto di “pictures of you”, agli sdoppiamenti e alla “A Reflection” degli esordi . Il pezzo parla delle aspettative che le persone hanno sugli altri e che mai saranno soddisfatte completamente.
“Disintegration”, la title track, è un altro capolavoro del disco, intensa, coinvolgente ed emotiva. Più ritmata, cadenzata e quasi aggressiva delle altre, porta allo stesso modo con sé i germi di autodistruzione, malinconia e solitudine.
In chiusura “Homesick”, ballata di abbandono e di funerea nostalgia universale: seppure stiamo male basta solo abbandonarsi a questo senso di malinconia che poi ci porterà verso posti più soleggiati.
“Untitled” è la canzone ideale che racchiude e riepiloga tutti i temi trattati in “Disintegration” e anche quelli degli album precedenti. Una sorta di tasto rewind fino agli anni di “Faith”!
Dopo pochi mesi dall’uscita di “Disintegration” i Cure diventarono un vero e proprio culto negli Stati Uniti. Uno status legittimato anni dopo in una puntata del famoso South Park, nel 1998, Robert Smith salva il mondo dal dominio di Barbra Streisand e dove i protagonisti urlano : “Disintegration” è il miglior album di sempre!
I Cure non sono dark! Sono darkissimi!!
Ad una giornalista che gli chiese se nella sua casa ci fossero oggetti gothic o simili Robert gli rispose: “i have bats flittering in my head, i don’t need them in my house”…… concludo con le parole di Robert : “feeling the monster climb deeper inside of me / feeling him gnawing my heart away hungrily…….Non perderò mai questo dolore, non ti sognerò mai più!
To be continued!?……
Giuseppe Bellobuono